Tante leggende sono fiorite su questo piccolo borgo abbandonato del comune di Centola, adesso meta soprattutto nel periodo estivo di comitive di villeggianti provenienti dalle zone marine, innanzitutto il nome che secondo alcuni storici locali deriverebbe dalla potente famiglia nobile dei Sanseverino, secondo altri da S. Severino Abate, vescovo del Norico, odierna Austria, le cui spoglie furono poi trasportate a Napoli.
Le fonti storiche esistenti indicano probabilmente l’origine dell’insediamento urbano sulla gola della “Tragara” che sovrasta il fiume Mingardo nel VII secolo ad opera di mercenari bulgari emigrati con il loro principe Alztek nel principato Longobardo di Salerno, come riferito da Paolo Diacono nella sua “Historia Longobardorum”.
Questi soldati, preziosa milizia per il principe di Salerno, furono adibiti al controllo della gola del Mingardo e della principale arteria di collegamento per il Golfo di Policastro che appunto si dipanava per detta gola.
A quest’ epoca risale il primo insediamento con la costruzione di un’alta torre di avvistamento, le cui dimensioni sono visibili per via aerea e le prime abitazioni dei familiari degli armigeri.
L’importanza strategica che rivestiva per i Longobardi il possesso del borgo fortificato è testimoniata dall’aspra contesa che vi fu nel 1075 tra il conte Guido di Policastro e Guimondo dei Mulsi. In origine, nel 1054, il castello, con il feudo di Policastro, era stato attribuito a Guido dal Principe di Salerno, Gisulfo II, figlio di Guaimaro V, per ricompensarlo del suo aiuto per ottenere il dominio del Principato, successivamente, però Guimondo, feudatario confinante, avanzò delle pretese sul borgo, sostenendo che doveva essere assegnato a lui.
Per risolvere la controversia, i due nobili accettarono di sottoporsi all’ arbitrato del principe di Capua, ma Guido non arrivò mai nella città, infatti fu ucciso in un’imboscata, proprio nella gola del Mingardo dagli sgherri di Guimondo dei Mulsi
La morte di Guido, privò il regno Longobardo di uno dei suoi migliori ingegni, “così morì la luce di tutti i Longobardi” scrisse Amato di Montecassino nella sua “Storia dei Normanni”, di fatto pochi anni dopo i Normanni conquistarono il Principato di Salerno.
Dopo questo fatto di sangue, Guimondo occupò il Borgo, ma per ordine regio fu costretto a consegnarlo al fratello di Guido, Landolfo, che ne conservò il dominio fine alla fine del regno Longobardo avvenuta nel 1077.
Con l’avvento dei Normanni, infatti, Landolfo conservò i propri domini, ma dovette consegnare i castelli più importanti tra cui S.Severino.
Con i Normanni 1077 – 1189, e successivamente gli Svevi 1189-1268 furono realizzate altre opere di fortificazione, soprattutto da Federico II, il quale classificò il castello di S. Severino, come “castra” disponendo la realizzazione della cinta muraria.
La sua posizione strategica, fece sì che durante la guerra Angioina Aragonese, S.Severino diventasse teatro di guerra, in particolare innumerevoli sofferenze soffrì la popolazione per le scorrerie degli Almugaveri, scorridori, utilizzati dagli Aragonesi come veri “commandos” per fare terra bruciata ai nemici Angioini, tanto che nel 1291 per disposizione di Carlo II d’Angiò, il paese, assieme ad altri centri del Cilento, venne esentato dal pagamento delle tasse.
La tradizione orale parla con riferimento a questo triste periodo di un grande battaglia nella valle del Mingardo, con grande numero di morti e feriti, scontro che portò alla caduta di S. Severino e alla sua presa da parte degli Aragonesi.
Con l’ avvento degli Aragonesi il borgo fortificato, già da anni della potente famiglia dei S. Severino, essendo venuta meno la sua importanza strategica, anche per lo sviluppo delle armi da fuoco, come cannoni e bombarde, cadde in decadenza, e il castello venne abbandonato, notevole sviluppo ebbe l’insediamento civile, anche grazie all’ attività estrattiva di gesso, scoperto nella zona, testimonianza di questo periodo di opulenza è la costruzione della cattedrale nella parte inferiore del paese, proprio sullo strapiombo della Tragara, edificio la cui grandezza strideva con il numero degli abitanti del Borgo.
Nel 1624, sottoposta al fiscalismo rapace dei dominatori Spagnoli, che gravi danni provocò al mezzogiorno d’ Italia, gran parte della popolazione venne decimata dalla peste, è di questo periodo la consacrazione della chiesa alla Madonna degli Angeli, appunto protettrice contro il morbo.
Nel corso della prima metà del 1700, venne abbandonata la chiesa in quanto la popolazione a causa delle generali condizioni di povertà e miseria non potè porre in essere i lavori di manutenzione necessari, come indicato nella relazione del Vescovo di Vallo della Lucania del 1746, in cui si parlava di lavori urgenti da farsi al soffitto.
Nel corso dei secoli, dopo lo smembramento del Feudo del Cilento, in seguito all’ esilio di Antonello Sanseverino per contrasti con il viceré di Napoli, Pietro da Toledo, fino all’eversione della feudalità nel 1806 ad opera dei Francesi, S. Severino diventato un piccolo feudo, passò prima alla famiglia Albertini di Cimitile, poi alla famiglia Quaranta di Cava, subendo la sorte di essere governati da feudatari mai risiedettero nel posto che spesso delegavano per la riscossione delle rendite a propri fiduciari che angariavano e spremevano la popolazione civile.
Con la costruzione della linea ferroviaria nel 1888, man mano la popolazione cominciò a trasferirsi a valle per cui nel giro di una cinquantina d’ anni il paese venne abbandonato, restando nello stato in cui il turista lo vede oggi.